PALEOLITHIC ART MAGAZINE
EUROPA
UNA SCULTURA MUSTERIANA DEL LEONE EUROPEO:TRA RITO E MITO
Licia Filingeri
Il leone nella rappresentazionie: dal Paleolitico ai tempi storici
Il leone , la sacralità e il rito
Il mito e i suoi intrecci: leone e sole
Il leone nella favola e nell'iconologia
Il mito di Eracle e il leone Nemeo
L'emozionalità e l'uomo del Paleolitico
Il leone dell'Arma delle Manie
Considerazioni conclusive
Il leone nella rappresentazionie: dal Paleolitico ai tempi storici
Nell'ottobre 1982, al I Congresso Internazionale di Paleontologia Umana, a Nizza, veniva presentata ( Pietro Gaietto, Genova, Italia ) una scultura zoomorfa sospesa del Musteriano, proveniente dall'Arma delle Manie (Liguria, Italia), da lui scoperta nel 1975 e rappresentante una testa di felino ruggente
Di dimensioni identiche a quelle di una reale testa di leone, la scultura è stata attribuita da Gaietto al Musteriano, per affinità tipologiche con piccole sculture in selce di teste di felino di quella cultura..
È pensile, in quanto ha dei fori fatti intenzionalmente per appenderla, precede altre sculture pensili dell'Aurignaziano trovate in Dordogna, geometriche e vagamente antropomorfe e zoomorfe, esposte al Museo Nazionale di Les Eyzies (France) e in giacimenti all'aperto visitabili nella stessa zona.
In natura si conoscono, dai fossili, 24 specie di felini, tra cui 6 viventi
A Olduvai Gorge, in Africa, è stata trovata la Panthera Gombaszoegensis , forma intermedia tra leone e tigre, datata a 1.500.000 anni fa, l'antenato più antico del leone da noi conosciuto, diffuso anche in Europa.
Il "leone delle caverne", Panthera leo spelaea, che viveva in Europa 600.000 anni fa, è ora estinto. Sono stati rinvenuti fossili in Inghilterra e presso il fiume Alazeya in Siberia. In un sito britannico è stato trovato il cranio di felino più antico (100.000 annia fa), di 43 cm, ma quelli effigiati nelle grotte (Chauvet, Lascaux ecc), erano più piccoli, all'incirca come gli attuali leoni ( forse i più simili attualmente sono quelli dell'India del Nord, nella foresta di Gir).
Oltre che per i cambiamenti di clima, questi felini scomparvero progressivamente dall'Europa anche per la serrata concorrenza con l'uomo riguardo per la cacciagione e l'abitazione nelle grotte.
Durante l'Aurignaziano e il Gravettiano, in Europa , si trovano raffigurazioni in scultura di felini.
In particolare, durante l'Aurignaziano, troviamo raffigurazioni non solo di animali importanti ai fini del nutrimento, ma pure di altri, come il leone.
Potrebbero essere considerate testimonianze della magia di caccia , come le 17 statuine in avorio del "bestiario", rinvenuto nel 1931 a Vogelherd ( presso Stetten, Giura Souabe, Germania, circa 32.000 / 34.000 anni fa), particolare anche perchè raffigura animali che non erano prede di caccia, come cavallo, mammuth, felino, bisonte, proprio come quelli dipinti sulle pareti della coeva grotta Chauvet in Francia.
Tra queste statuine, usurate per lungo uso e con segni incisi periodicamente, spicca il cosiddetto uomo-leone.
"Le statuette di felini e dell'uomo con la testa di felino - che, forse, avevano per scopo l'appropriazione dello spirito e della forza dell'animale- possedevano senza dubbio un significato più complesso."(Kozlowski, p 317).
Troviamo pure in Moravia un vivace felino rappresentato nell'atto di compiere un balzo (avorio, Pavlov, 23.000 anni fa circa).
A Twyfelfontein (Namibia, sud Africa), molti leoni tra le 2500 incisioni di arte rupestre (da 2000 a 6000 anni; alcuni dipinti sono stati datati a 27000 anni).
Recentemente, l'esplorazione della grotta di Chauvet ( Francia), ha collocato nell'Aurignaziano anche le più antiche e belle rappresentazioni in pittura di molti animali, tra cui i felini. La grotta è notevole per la ricchezza del suo bestiario e delle specie rappresentate, ma soprattutto per l'abilità tecnica dell'artista, secondo alcuni archeologi, unico, che l'affrescò.
Nel Maddaleniano, si trovano rappresentazioni di felini nell'arte in grotta, (Lascaux Le Gabillou, La Marche, Les Trois Frères, Les Combarelles, La Vache , ecc.), e sotto forma di scultura mobile.
Tuttavia, è corretto pensare che la rappresentazione di felini non sia esclusivamente caratteristica di una data cultura, anche perchè noi abbiamo solo scarse testimonianze dell'arte del Paleolitico: la maggior parte di essa (compresa quella su materiali deperibili , come legno e, possiamo presumere, pelli), è andata distrutta per la limitata resistenza all'azione del tempo. è più verosimile pensare, a mio parere, che, probabilmente, cambino solo le percentuali in cui un dato animale è stato rappresentato, e questo può essere dovuto a questioni legate alla singola cultura, e specialmente al culto.
Anche la distinzione "leone-leonessa" è piuttosto controversa, in quanto, essendo il leone delle caverne senza criniera, non è chiaramente distinguibile se nelle raffigurazioni artistiche paleolitiche di felini si tratti di leoni maschi o femmine.
Tra quelle classificate tradizionalmente come leonesse, ne ricordo alcune, pitture, incisioni e sculture: attribuite all'Aurignaziano, le leonesse della grotta Chauvet, in Francia; un'incisione dei contorni di una leonessa, a Les Trois Frères; un graffito, sempre nella stessa grotta, di una leonessa ( o leone) su una sporgenza naturale, con la testa ritoccata a puntini, e vari tentativi, in nero o a graffito, di rappresentare la coda ( a questo proposito, secondo la primitiva intuizione del conte Henri de Bégouen, e dopo di lui dell'abbé Breuil e di altri studiosi di arte paleolitica, vi sarebbe stato un uso magico dell'atto di raffigurare ex novo o raffigurare più volte animali, soprattutto in relazione alla caccia); invece, tra le sculture, oltre a quella di Pavlov (Fig.1),
Fig.1 Leonessa intagliata su avorio, Gravettiano, Pavlov, Moravia
in avorio, abbiamo una testa di leonessa in argilla , lunga 4,5 cm, del Gravettiano di Dolni Vestonice (Moravia, Cecoslovacchia) (Fig. 2);
Fig.2 Testa di leonessa in argilla, Gravettiano, Doni Vestonice, Moravia
un'altra, della stessa provenienza e materiale, di 6 cm (Fig. 3);
Fig.3 Testa di leonessa in argilla, Gravettiano, Doni Vestonice, Moravia
e una incisione raffigurante un leone delle caverne, lunga 70 cm, oltre a un graffito assai accentuato di leone a Les Combarelles (Francia) (Fig. 4);
Fig.4 Leone, incisione, lunghezza 70 cm, Les Combarelles, France
Notevole, tra tutte, la "cappella" nella grotta maddaleniana di Les Trois Frères, nota da tempo e quindi più approfonditamente studiata, in cui si trovano un leone modellato su una stalagmite, una leonessa e un leoncino, incisi e dipinti, e più avanti due felini dallo sguardo minaccioso che sembrano voler fermare il visitatore (Fig. 5).
Fig.5 Due felini, disegno dell'abbé Breuil, da incisione, Les Trois Frères, France
Denis Vialou, dell' Istituto di Paleontologia Umana, ha approfondito questi aspetti della "Cappella della Leonessa". La descrive come una cappella a qualche decina di metri dal santuario del "dio cornuto" o "stregone", la leonessa è disegnata realisticamente, con un membro superiore umano che esce dalla zona genito-anale, proprio come, nel caso dello Stregone, il sesso del felino, con un duplice rinvio al braccio umano-felino e al sesso felino-gamba umana.
Ma l'altra circostanza interessante, che ci riporta direttamente col pensiero a una importante scultura, la divinità uomo-felino di El Juyo, è che " il rapporto uomo-felino espresso in un contesto sessuale evidente esiste anche per i visi con l'ambiguità grafica delle maschere."( Vialou, p 298 )
Nel Santuario ci sono altre quattro maschere con viso umano e nello stesso tempo testa di felino in visione frontale, " e precisamente la testa dell'uomo è raffigurata frontalmente e inquadrata da tre teste leonine anch’esse in visione frontale; oltre ad essere accompagnata da un leoncello la cui testa è di nuovo raffigurata frontalmente. Ci sono infine altre due teste di felino dipinte ed incise di faccia molto vicine nella grande galleria. Si constata che il rinvio ai felini è significativo di una certa complicità grafica tra l'uomo e questo animale." ( ibidem). In tutto questo, e nel modo della realizzazione, conclude Vialou, l'uomo preistorico ci ha trasmesso i suoi sogni.
Anche a Tuc d'Audoubert ( Montesquieu-Avantès, vicino a Saint-Girons, Ariège, France), troviamo dei semi-felini con funzione di guardiani .
A Montespan c'è un grande felino modellato nell'argilla, di cui rimangono resti (parte di una zampa posteriore, pettorale, collo e zampe anteriori). è pieno di buchi provocati da lance e giavellotti, e presumibilmente testimonia di riti che potrebbero avere a che fare con la magia simpatica della caccia.
Similmente, uno slanciato leone delle caverne inciso in corno di renna, trovato a Isturitz (Fig. 6), nei Pirenei.
Fig.6 Leone con simboli a forma di freccia, lunghezza9,9 cm, Isturitz, France
Oltre a incisioni a freccia, sul corpo ci sono dei buchi. che hanno fatto pensare ad una simbologia magica.
Infine, sempre appartenente alla cultura maddaleniana, la grande scultura in pietra di El Juyo, mezza umana e mezza animale , che, secondo Freeman, suo scopritore, potrebbe essere una mezza testa di leone.
Freeman parla della caverna del ritrovamento come di un santuario e, a proposito della scultura, dice: "Lo straordinario viso di pietra, una fusione di natura umana e animale, è probabilmente la rappresentazione più convincente di un essere soprannaturale che si conosca nell'arte paleolitica."( Freeman, Klein, Echegaray, "Un " santuario" intatto a El Juyo", in Miti e Riti, p 284 ).
Riguardo all'attribuzione culturale di questa scultura al Maddaleniano, però, devo qui rilevare che Gaietto dissente dall'opinione di Freeman , considerandola invece testimonianza della tradizione musteriana in parallelo al Maddaleniano.
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La rappresentazione del leone è frequente in epoca storica, con una grande ricchezza nel Vicino Oriente. Seguiamo in ordine cronologico.
L'arte sumerica è ricchissima di leoni; splendido il leone assiro raffigurato in un bassorilievo del Palazzo di Ninive (VII secolo a.C.)
In Egitto, circa 3000 BC, I dinastia, proveniente da Hierankonpolis, troviamo unaspatola di re Narmer, con due stilizzatissimi leoni.
Del 3000 a.C., con provenienza dal tempio di Shara in Iraq, a Tell Agrab, su un vaso da offerte si ammirano dei leoni sbalzati.
In un sigillo cilindrico sumero (2500 a.C., tomba di Ur), si vede effigiato Gilgamesh mentre lotta con la spada contro i leoni. Immagini di eroi che lottano con due leoni, derivate da questa iconografia originariamente riferita a Gilgamesh, a testimonianza di scambi tra tradizioni e culture diverse, le troviamo in seguito presso altre civiltà (come ad esempio l'incisione del manico d'avorio di un coltello in selce di Gebel al-Arak, conservato al Louvre, in cui si vede tra l'altro un uomo che strozza due leoni).
Molte le scene di caccia, come quelle che hanno come protagonista Assurbanipal (1669-1630 a.C., al palazzo reale di Ninive, Babilonia, ora al British Museum), che testimoniano il profondo carattere rituale della caccia.
La tradizione dei leoni a guardia delle porte, già vista nella grotta paleolitica dei Trois Frères, trova un bell'esempio in un leone sumerico in pietra che sorveglia il tempio di Dagan, dio degli Amorriti, a Mari (XIX secolo a.C., Parigi, Louvre) , caratterizzato dagli occhi in pietra bianca, con al centro un cerchio di scisto nero.
Proseguendo in questo viaggio ideale nel tempo, è notevole la Porta dei Leoni di Micene ( Aslanlikapi, 1300 a.C. circa), il cui poderoso architrave è sormontato da un fregio triangolare, con una colonna e due leoni rampanti.
Molti i leoni dell'epoca ittita: circa nel XII-XI secolo a.C., un leone a guardia di una porta , in roccaforti dello smembrato impero ittita, Malatya, (antica Melid); a Karkemish antica Jerablus), due leoni ruggenti sono posti come base di una statua del dio Atarsuhis, ed incisione di uomo-leone su ortostata; e dal tempio del Dio dei leoni, sempre a Karkemish, incisione su ortostata degli dei del sole e della luna, ritti sul dorso di un leone ruggente.
Nei resti di una porta delle poderose mura della capitale Bogaz-keuy, (Hattusas, in Asia, XIII secolo), troviamo, sotto forma di bassorilievo assai aggettante, due leoni, visti frontalmente, con la bocca spalancata, temibili sentinelle di quella che è stata denominata Porta dei Leoni (circa 1200 a.C.). A un lato della porta interna di Yerkapu, invece, sempre a Boghaz-keuy, della stessa epoca, c'è una sfinge con corpo di leone e testa umana.
A Sam'al (Zingirli, Siria settentrionale), in uno stile misto, ma che risente fortemente della cultura ittita, si trovano leoni alle porte, una figurina di genio con testa di leone ( circa XIII secolo a.C. ), e un grande leone ruggente.
Provenienti dall'altipiano iranico, naturale ponte culturale tra Vicino Oriente e Asia centrale e sub continente indiano, con aspetti culturali delle diverse aree, si possono ammirare, presso il Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma, evidentemente reliquati tematici del Neolitico, alcune raffigurazioni di epoca storica del leone: un fregio con vari animali, tra cui un felino rappresentato nella sua interezza, quale decorazione di una brocca con anse di ceramica invetriata turchese (XII secolo a. C.); una raffigurazione di leone su una mattonella a forma stellare, per decorazione parietale, dipinta a lustro e azzurro (Kashan, XII-XIV secolo a. C., con probabile filiazione tematica dalle ceramiche dipinte delle regioni di Kashan, Luristan e Kerman, del V-III millennio a.C.)
Alle porte dell'antica Sam'al (circa X-IX secolo a.C.), un bassorilievo con un altro fiero leone ruggente; nella porta interna della cittadella,
ritroviamo gli stessi occhi del leone di Mari in un leone ruggente del palazzo di Kapara (Tell Halaf, IX-VIII secolo a.C).
Dell'area siro-palestinese, un' incisione in avorio fenicia, da Nimrud (Calah), VIII secolo a.C., rappresenta una sfinge alata seduta sormontata dal simbolo del sole; un'altra, interessantissima, in quanto evidenzia il legame leone-sole, mostra un leone seduto (Fig.7) con sulla testa il disco solare
Fig.7 da Nimrud, Fenicia, pannello traforato in avorio , sec.VIII a.C:
La tradizione prosegue con le sculture dei leoni assiri: è probabile che questo popolo abbia preso dai sudditi ittiti e aramei l'usanza di grandi sculture di animali, tra cui i leoni, come guardiani delle porte. Presso gli Assiri il leone era un soggetto di rappresentazione assai previlegiato, soprattutto in scultura, in quanto, come re degli animali terrestri, stava a rappresentare la potenza del regno.
Del periodo neo-assiro, 645-635 a.C., molti leoni da un rilievo con scena di caccia (Ashurnasirpal II ); un'altra raffigurazione, molto vivace, su un rilievo in alabastro , del palazzo di Ashurnasirpal, Nimrud , Iraq, raffigurante Ashurnasirpal II che uccide un leone; una scena da Ninive, con un fiero leone morente; e con un leone uscente da una gabbia
Sempre numerosi i leoni guardiani, in gran parte rappresentati in movimento e ruggenti.
Al tell Tayanat, in Hatay (circa VIII secolo a.C.), due leoni affiancati, a base di una colonna; una placca di bronzo di area siro-palestinese, intorno all'VII secolo a.C., con un leone che ruggisce da Göllüdag,, regione anatolica del Tabal, tra l'VIII e il VII secolo a.C., due splendidi leoni nell’atto di ruggire presso un portale.
Del VII secolo a.C., in un tell a 8 Km da Ayn Dara (60 Km da Aleppo, Siria), sono stati scoperti dei magnifici leoni in pietra (attualmente nel museo di Aleppo).
Da Persepoli, Iran (circa 600 a.C.), una suggestiva teoria di leoni scolpita su un fregio.
Del VII-VI secolo a.C., all'inizio della via sacra che portava al santuario di Marduk, lungo il viale che conduceva alla porta di Ishtar, grandi pannelli di mattoni smaltati su cui erano modellati in rilievo dei leoni in movimento, raffigurati anche sulla porta e nella decorazione della sala del trono del palazzo.
Anche nell'arte degli Sciti, è presente il tema del leone. A Roma, presso il Museo Nazionale di Arte Orientale, si può ammirare , raffigurato su un bottone di elsa di spada del V secolo a.C., un leone con bocca chiusa, in atto di compiere un balzo.
Del 400 a.C., un raffinato leone ruggente alato, in oro, proveniente da Ecbatana, Iran.
La tradizione dei leoni guardiani è poi proseguita a lungo sia in Occidente che in Oriente, come testimoniato da innumerevoli leoni predatori o a guardia davanti alle porte di chiese, soprattutto a partire dal XII secolo d.C., nel periodo romanico e gotico ( i protiri sono generalmente retti da due colonne, sorrette da due leoni: vedi per tutti i leoni della cattedrale di Troia, Puglia, Italia, (1107-1119 , stile romanico pugliese), e, in Oriente, nei numerosi templi , come ad esempio a Khajuraho India , nel tempio di Vishwanath , con leoni a guardia dell'entrata Nord (tra 950 e 1050 d.C).
Ma tornando più lontano nel tempo, in atteggiamento diverso dall'usuale, a Khorsabad, su una grande lastra, internamente ai portali (VII secolo; attualmente al Louvre), un leoncello rampante e fiero, domato da Gilgamesh.
Un maestoso leone ,in atto di assalire un cavallo, si può ammirare in un bassorilievo della scalinata del palazzo di Persepoli, Iran, 500 a.C. circa.
Di epoca ben più tarda, a Roma, presso il Museo Nazionale di Arte Orientale, intessuta in una preziosa seta ( usata poi come paramento sacro in Occidente), una scena di caccia, secondo lo stile delle miniature iraniane, in cui un cacciatore con arco punta dall'alto due leoni, che assalgono dai due fianchi un cavallo (Iran, periodo Saffavide, XVI secolo.)
Una bella scena di caccia con un bassorilievo di atletici leoni ad Alaka Hoyuk.
Sugli splendidi pugnali intarsiati d'oro per la lotta corpo a corpo dei principi guerrieri minoici della Basilicata (XVI secolo a.C.), sono effigiate scene di caccia con leone ruggente; notevole anche un grande bassorilievo di testa di felino che orna uno scudo rotondo (umbone e decorazione) (Museo Barraco, Roma).
Più rare, e in atteggiamento diverso, le leonesse .
Ricordiamo per tutte, la bellissima ed enigmatica scena di Kalakh scolpita su una tavoletta di avorio, in stile fenicio siro-palestines, con una a leonessa che assale un Africano ( VIII secolo a.C.), e il raffinato rhyton miceneo in oro.
Il leone, secondo la tradizione orientale, oltre ad essere rappresentato in maniera "naturale", era pure raffigurato piuttosto fantasticamente, e in modo composito, spesso alato, o mezzo leone e mezzo centauro, o con testa umana.
A proposito di un bassorilievo mesopotamico (3200 a.C.), in cui un toro sacro viene divorato da un' aquila-leone, Campbell precisa :"Questo uccello-leone è una rappresentazione sumerica della forza del sole che divora costantemente il toro: la vita viene, la vita va" (Campbell, p 51).
Similmente per un'aquila leontocefala che lega due cervi (sempre prima metà del III millennio a.C.). Bronzo, Arte sumerica Tell Obeid , Londra, British Museum .
Con raffigurazione invertita, un ciondolo apotropaico raffigurante un leone alato del 2650 a.C., in lapislazzuli, oro, rame e bitume, proveniente dal tesoro di Ur ( Mari, ora al Museo nazionale di Damasco ).
A Karkemish, un bassorilievo del II millennio mostra un animale favoloso, un leone alato che, alla sommità della testa, erge una seconda testa, umana, con un copricapo con due corna, il che potrebbe alludere a una unione sole-luna ( Fig.8)
Fig.8 Leone favoloso ( rilievo su pietra, Karkemish, II millennio)
Presso il Museo Barraco, a Roma, sono conservati una coppia di piccole sfingi in basalto della regione di Hacesut ( Nuovo Regno, XXIII dinastia, 1479-1459 a.C.), una coppia di leoni, di cui una ha volto umano, mentre l'altra è un leone accosciato, con cartiglio del Faraone Ramesse II (Medio Regno, 1279-1213 a.C.), oltre ad alcuni leoni egizi in legno e basalto.
Anche gli dei riassumono su di sè una parte di animalità, per potenziare la loro forza, come ad esempio la dea egizia Thueri la Grande, con testa e tronco di ippopotamo, zampe di leone e coda di coccodrillo. Oppure essi cercano l'alleanza delle belve, da loro soggiogate, come nel caso di Cibele o come simbolicamente narra anche il mito di Eracle e del leone Nemeo, di cui diremo più avanti.
Collegati al mito di Eracle e del leone Nemeo, a Roma, conservati al Museo della Centrale Montemartini , del VI secolo a.C., periodo di transizione tra la civiltà etrusca e quella romana, si possono ammirare un leoncino d'avorio seduto con iscrizione estrusca, e placche frontonali di terracotta a forma di felino appartenenti al Tempio Boario, accanto alla presentazione di Eracle in Olimpo da parte di Atena, e ancora , sempre in area sacra, due grandi felini accosciati e contrapposti in posizione araldica con in mezzo la Gorgone (I metà del VI secolo).
Ancora presso il museo Barraco di Roma, un bronzetto raffigurante Eracle con la clava e la pelle del leone Nemeo ripiegata sul braccio sinistro (Acerauca, sporadico II metà III secolo a.C.) . Evidentemente qui il leone è simbolo di forza e di potenza.
Nel periodo ellenistico, specie nel III e II secolo a.C., l'erudizione mitologica derivante da Omero ed Esiodo, unita alle influenze orientali, cui abbiamo accennato, ha profondi influssi sulla tipologia rappresentativa in scultura, e spesso ci troviamo in presenza di una commistione uomo-animale che, a mio parere, riprende con buona probabilità tracce ben più arcaiche;
esse potrebbero derivare proprio dalla tradizione ideologica paleolitica, di cui, ad esempio, l'uomo-stregone dei Trois Frères ( 13.000 anni) è testimonianza.
Così, nel fregio del grande Altare di Pergamo ( età ellenistica, 323-149 a.C. ), nel particolare della lotta tra Ecate e un gigante, si assiste alla trasformazione del gigante in leone, o comunque alla commistione tra le due animalità, in quanto il gigante si sta trasmutando in leone, come si vede dalla testa ruggente e dai poderosi artigli su una mano-zampa.
Ancora a Roma, proveniente dal Mithreo (fine II secolo d.C.), nella Crypta Balbi, è esposta una piccola testina di leone in marmo, con bocca socchiusa e corpo alato, raffigurato avvolto nelle spire di un serpente: la testa fa riferimento al fuoco. A Roma, il culto persiano di Mithra era legato a quello del Dio Sole Invincibile: era il dio Aion (Kronos), personificazione del tempo infinito.
Sempre con riferimento a queste commistioni rappresentative, ricordiamo che i Persiani in origine non avevano raffigurazioni zoomorfe delle divinità, così il sole, espressione di Mithra, icona del cielo solare, era sovente rappresentato con testa di leone ( cfr. Silio Italico e Stazio , I secolo d.C.), probabilmente indizio del maggior vigore dell’astro nel segno zodiacale del Leone, il fuoco per la simbologia persiana. Il dio persiano Mithra era visto come il riconciliatore del luminoso Orzmud col tenebroso Ahrimane. Nei misteri mithriaci, vigeva l'uso di travestimenti sotto forme di animali, tra cui il leone. A Roma, nel Mithreo Barberini, il dio Mithra, con testa di leone, sta nelle spire di un serpente, ritto su un globo, con ai lati sole e luna .
Dunque, in molte culture coeve, pure se geograficamente distanti, il leone viene spesso associato al sole, anch'esso simbolo in tutti i tempi della potenza divina.
Campbell, a proposito di una ceramica ateniese del V secolo a. C., in cui compare la figura del leone, lo definisce ancora animale solare e potente simbolo di energia: "Il sole non ha ombre, è costantemente libero dal limite del tempo, della nascita e della morte. Quindi è vita assoluta."(Campbell, p 22). Pertanto, l'aspetto energetico sarebbe alla base del legame tra il simbolo del leone e quello del sole, come più approfonditamente vedremo trattandone l'aspetto mitico.
Tra i segni zodiacali, frequentemente le figure del sole e del leone vengono associate. Scorgere immagini nel cielo, è un impulso che nasce con l'uomo, come si puàò supporre da ritrovamenti di tavolette babilonesi incise nella valle dell'Eufrate (6000 a.C.) , che nominano le costellazioni del Leone, del Toro e dello Scorpione. In base alle notizie pervenuteci, furono Romani e Greci a istituire parallelismi tra personaggi mitologici e costellazioni.
Durante il Rinascimento, nel Libro dell'amore, Marsilio Ficino, pur ignorando tale circostanza, parlava delle stelle come degli "animali del cielo".
Recentemente, nella grotta di Lascaux, Michael Rappenglueck dell'Università di Monaco di Baviera ha osservato una forma a triangolo, formato dagli occhi di un toro, di un uomo-uccello e di un uccello sulla cima di un bastone, che a suo dire rappresenterebbero una grande mappa del cielo.
Ritroviamo segni simili in alcuni pendantifs citati da Kozlowsky ( cfr p 315), rappresentanti animali, come pesce, cavallo ecc. Sarebbe interessante studiarli più approfonditamente e poter verificare l'ipotesi che, come quelli del calendario lunare di Marschack, siano anch'essi antichi calendari e, in un certo senso, anche una prima forma di scrittura , o che vi sia un'antichissima correlazione tra stelle ed animali, forse all'origine del nostro zodiaco.
L'archeologo tedesco sostiene che gli uomini del Paleolitico individuavano nel cielo numerosissimi animali e spiriti guida. Sarebbe di un certo interesse che qualche astronomo studiasse il posizionamento delle varie stelle nella costellazione del Leone, per vedere se si trova qualche analogia con le mappe stellari individuate nei dipinti maddaleniani in grotta, tentando anche di indagare su quale fosse il posizionamento delle costellazioni nel nostro emisfero all'epoca in cui gli artisti paleolitici tracciarono queste prime mappe celesti.
Il leone, la sacralità e il rito
La raffigurazione del leone, dunque, percorre ininterrottamente la storia dell'uomo ad iniziare dal Paleolitico, mantenendo intatta la sua simbologia di forza, potenza e regalità.
In particolare poi, la presenza di ricorrenti sculture di felini, spesso incontestabilmente legate al sacro, pone il problema del loro significato, al di là dell'immagine zoomorfa rappresentata, e ci immette direttamente nelle questioni relative alla ritualità e alla mitografia.
Infatti, da quanto abbiamo visto, tutte le raffigurazioni del leone, culturalmente e cronologicamente diverse, hanno una caratteristica in comune: ne associano l'immagine a una qualità che in qualche modo ha a che fare col sacro (potenza, regalità o astuzia e malvagità al massimo grado), spesso collegandola come figura mitica alla religione o identificandola direttamente con esseri divini, sia maschili che femminili.
Ci si potrebbe innanzi tutto chiedere perchè questa figura mitica di leone è identificata a volte col maschio, e altre volte con la femmina, questo a partire, come si è visto, dalla grotta LesTrois Frères, in cui parrebbe prevalere la raffigurazione della leonessa, a meno che non si tratti soprattutto di una questione di stile di rappresentazione, come già nelle più antiche sculture litiche di felini, o del fatto che, come si è detto, il leone delle caverne era privo di criniera.
In seguito, nell'iconografia dei tempi storici, troviamo quasi sempre il leone maschio, magari associato all'inizio, come in Egitto, in Grecia e a Roma, a divinità femminili: forse per il passaggio da civiltà di caccia a civiltà agraria.
Presso le antiche civiltà storiche, comunque, spesso il leone è simbolo di divinità, in prevalenza femminili. Tra le più note, presso i Sumeri, la dea Ereshkigal; la dea Inanna, associata al leone alato, o rappresentata mentre soggioga il the leone , avendone assunto lei stessa le ali; presso gli Ittiti, Hebat, sposa di Teshub, raffigurata come una matrona, in piedi sul suo animale sacro, il leone; la dea lunare Shaushka (identificata con Ishtar), (III dinastia di Ur, periodo accadico, circa 2350 a.C.), come figura alata ritta su un leone, nel rilievo di dei e dee della tribuna principale di Yazilikaya; un'immagine sumero-accadica presumibilmente della dea Lilith la rappresenta ritta su un leone; in un'arpa dalla tomba di re Puabi, Ur, 2600 a.C., figura di leone, ritta in piedi come offerente; Zababa, sotto la cui effigie era raffigurato un leone; Nergal, dio della guerra; nell'arte minoica, un intaglio con una "Dea delle montagne con leoni; in GreciaCybele, dea madre della Frigia , e dea punica della guerra, guida un carro trainato da leoni o è assisa su un trono con due leoni accucciati ai piedi; risalente al Neolitico, VII millennio a:C., in Anatolia, a Çatalhöyük, una statuina di argilla condivinità femminile, seduta su un trono, con leonesse come braccioli;
Artemide, dea della natura. "aspra agitatrice di belve", come canta Omero, sovente raffigurata con dei leoni, che appaiono nel frontone del tempio a lei dedicato, a Corfù (arte greca, 600 a.C.); tra le numerosissime divinità egizie, Aker, doppio leone, con il disco solare, guardiano del sorgere e del tramontare del sole Bast, raffigurata con fattezze di gatto, oltre che di leone Hathor, anche sotto forma di mucca, oltre che di leone; Horus, con testa di leone e disco solare; Mehit, dea con testa di leone; Sekhmet , con testa di leone sormontata dal disco solare, col cobra ; Tefnut, con testa di mucca oltre che di leone, sovrastata dal disco del sole; in Tibet, Senge Dong-ma; in India, Simhavaktra come donna, Narasimha come incarnazione di Visnù; Giunone romana, rappresentata su un carro trainato da leoni; Vulcano , dio romano, associato al leone, il cui ruggito rammentava il rombo del vulcano; in Oriente, Buddha, seduto su un leone come su un trono, era detto " il leone di Shakya"; Chiu-shou , divinità cinese, era un leone, che talvolta assumeva fattezze umane; Durga, dea indù, distruttrice di demoni, è raffigurata seduta su un leone; Tara, dea tibetana (leonessa); Sinha Kubera, dio indù, seduto sulla schiena di un leone; Nyavirezi, dea africana, era associata al leone.
Ciò premesso, tenendo presente il perdurare della tradizione, possiamo pensare, in accordo con Gaietto, che la grande scultura del leone dell'Arma delle Manie sia la raffigurazione di una figura mitica a carattere sacro.
Probabilmente la sua effigie era centrale nello svolgimento di determinati rituali, tanto più che le dimensioni ragguardevoli non ne facevano certo un oggetto atto, come l'art mobilier, a essere agevolmente portato con sè, ma fanno invece propendere per l'ipotesi, come per la grande scultura di El Juyo, di un oggetto cultuale, probabilmente raffigurazione di un essere legato alla sacralità, destinato ad essere collocato stabilmente in un luogo di culto.
È oltremodo interessante che questa scultura abbia la caratteristica di essere pensile (presenza di fori per sospenderla a robuste corde).
Tale particolarità, infatti, potrebbe avere collegamenti con due diffuse usanze.
La prima è relativa al culto dei morti, che in varie aree, durante il Paleolitico inferiore e medio, prevedeva per il defunto la sola conservazione del teschio. Tale culto era presumibilmente associato all'idea della potenza del defunto, insita nella sua parte più nobile, rappresentata appunto dal cranio che, in molte antiche forme di inumazione, era appunto la parte previlegiata per la conservazione e per il culto.
A tale proposito, per analogia, sarà opportuno ricordare il culto del cranio dell'orso speleo, conservato in appositi santuari.
È stato evidenziato nel 1917 da Theophil Nigg di Vättis in Svizzera, e da Emil Baechler, (1917-1923), nel Drachenloch, a 2445 m , in cui sono stati trovati resti dell’ orso speleo.
La seconda osservazione è relativa all'usanza cultuale dei teschi umani trasportati con sè dal parente del defunto.
Da un punto di vista religioso, quindi, si potrebbe pensare a una espressione che ha a che fare con l' animismo, considerato anche che la scultura delle Manie è opera dell'uomo di Neanderthal , che aveva due tipi di culto dei morti: la conservazione dell'intero cadavere in posizione di sonno, e la conservazione del solo cranio.
Il rito è una delle forme più immediate e antiche con cui l'uomo esprime l'ineffabile e si mette in contatto, anche tramite il corpo, con la divinità, assumendo e rivestendo egli stesso un carattere sacro in quanto facente parte di una realtà che non muta.
Per rito comunemente si intende qualsivoglia gesto o cerimonia di carattere simbolico, con cui l'uomo manifesta un concetto o un sentimento riguardante la divinità.
Uno dei suoi scopi primari è quello di sottrarre i più importanti accadimenti della vita umana alla causalità o comunque all'impossibilità di controllo, per inserirli in un ordinamento culturale controllato dal gruppo, e come tale meno inquietante.
Il rito è un fenomeno complesso, poiché esprime aspetti di un conflitto inconscio di derivati di pulsioni inconsce aggressive e sessuali e loro difese, sovente con presenza di elementi appartenenti al pensiero magico. Pertanto, esso "presuppone dietro a sè processi mentali assai complessi...deve...venir considerato un mezzo di espressione dei profondi impulsi psicologici " ( Reik , p 31).
A mio parere, la scultura musteriana dell'Arma delle Manie, proprio come espressione di un movimento emotivo inconscio collegato alle pulsioni, potrebbe essere associata agli antichissimi riti di iniziazione, come si può inferire anche da studi etnografici comparativi.
Da quando l'uomo è comparso sulla terra, e di conseguenza si è trovato a dover fronteggiare il problema vitale della sopravvivenza fisica, sia come evitamento dei pericoli naturali, in primo luogo l'assalto delle fiere, sia come ricerca attiva di cibo, e soprattutto quando, con l'ideazione e realizzazione dello strumento extracorporeo, ha cominciato a cacciare, e non più a cibarsi di carogne uccise dalle fiere, alle più giovani generazioni venivano insegnati il coraggio e tutte le qualità necessarie per essere un buon cacciatore e guerriero. Quindi, fin dalle origini, si potrebbe pensare a riti propiziatori-identificatori con animali potenti, tra cui in primo piano il leone.
Spesso i riti sono cultuali, in quanto rivolti al culto di un essere potente, collegato ad una divinità o divinità esso stesso, che in cambio elargirà all'uomo favori e poteri, come l'abilità nella difesa e nella caccia, con le doti ad essa associate. Ciò era essenziale in una cultura, come quella di Homo Habilis , e più precisamente di Homo Ergaster, da poco entrato in una nuova nicchia ecologica, caratterizzata dal cibarsi di carne, oltre che di vegetali.
L'etnologia ha mostrato come in tutte le culture dei primitivi vi siano anche oggetti con cui è possibile evocare gli spiriti, tramite un processo di astrazione, come feticci e amuleti.
La testa di leone dell'Arma delle Manie, poiché raffigurazione di un animale potentissimo e temuto, potrebbe essere anche legata idealmente, se non materialmente date le dimensioni, a riti incentrati su feticci. Solo chi ha caratteristiche leonine può vincere i leoni, per il terrore che suscita: in tempi storici, ricordiamo ad esempio la dea babilonese Irra , che appariva sotto spoglie di leone.
Il mito e i suoi intrecci: leone e sole
I miti, presenti presso tutte le culture e in tutti i tempi, sono narrazioni ricche di allegorie e significati nascosti, tesi a spiegare al gruppo cui si rivolgono l'origine e la natura del mondo.
Questi racconti, intessuti con immagini mentali assai intense e belle, esprimono relazioni intrapsichiche complesse, con un profondo carattere dinamico.
Sono intimamente legati alla vita reale della cultura in cui prendono forma, comprese le credenze religiose, e le espressioni di creatività, strettamente intrecciati con l'ordinamento sociale, pertanto ne divengono quasi condizioni di vita, tramandati dagli anziani, e collegati strettamente alla religione, di cui contengono tracce che si perdono nella notte dei tempi.
Seguendo le tracce del leone nella mitografia, ci si imbatte in una particolarità, che già abbiamo avuto modo di osservare nell'arte rappresentativa, fin dai tempi più antichi: a questo animale fanno capo molti miti solari, per cui, prima di cercare di rintracciare le più remote origini del mito del leone, potrebbe essere utile seguire le tracce del mito cui il leone è intrecciato, quello del Sole.
Secondo Pettazzoni,"l'associazione del sole col leone risale ad un'epoca in cui il levare eliaco della costellazione del leone doveva cadere al solstizio d'estate "( Pettazzoni, 1955, p 207), cioè al IV millennio a.C.
È altamente probabile che la potenza dell'astro, base della vita come luce e calore, abbia immediatamente colpito l'immaginazione dell'uomo, e che egli precocemente lo abbia venerato come entità soprannaturale.
Il Sole è stato associato alla divinità in molti culti religiosi dell'epoca storica, tuttavia non viene annoverato tra gli Esseri Supremi, perchè non ne possiede la caratteristica peculiare, di increato creatore.
Viene fatta una distinzione tra essere supremo e essere mitico. Le caratteristiche che connotano l'Essere Supremo, increato, sono l'attività creatrice, l'onniveggenza e l'onniscienza, l' immortalità e l'eccelsa moralità.
Invece, la figura mitica , che costituisce la personificazione di attributi e compiti della divinità suprema , appartiene a un aspetto inferiore.( cfr.Pettazzoni, 1955, p 3 ss).
Il Sole dunque è una raffigurazione del dio primordiale, origine di tutte le cose. è luce, energia creatrice, in contrapposizione alle tenebre, negazione della vita.
Il mito del sole è presente da sempre in tutte le culture con una collocazione di rilievo, data l'estrema pregnanza di tutto ciò che ha a che fare coi fenomeni correlati alla volta celeste: "Erano i cieli, nelle loro rivoluzioni, a dare la chiave, mentre gli eventi di questa terra recedevano, fino a diventare insignificanti. L'attenzione veniva concentrata sulle presenze superiori, lungi dal caos fenomenico che ci circonda " (De Santillana, p 86). D'altronde, "il sole era l'unica misura assoluta fornita dalla natura" ( ivi, p 290).
Del sole si sono avute, nel corso del tempo, varie personificazioni, che popolano i miti dei vari popoli.
Le più antiche culture, quasi sicuramente mutuarono l' esistenza personificata del Sole da civiltà ormai scomparse, di cui non resta alcuna traccia, se non in fonti scritte posteriori, come ad esempio presso i Pelasgi, di cui si ha notizia della provenienza in Grecia dalla Palestina nel 3500 a.C..
Originariamente questo popolo non aveva nomi per gli dei, li chiamava, come ricorda Dodona, il più antico dell'Ellade, adottarono le denominazioni degli Egizi. "Più tardi gli Elleni le ricevettero dai Pelasgi."(Erodoto, Storie, II, 52). Secondo il mito pelasgico della creazione, Eurinome, Dea di tutte le Cose, emersa dal Caos , rimasta incinta dal serpente Ofione, sotto forma di colomba depositò l'Uovo Universale, da cui uscirono tutte le cose esistenti: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra con monti, fiumi, alberi ed erbe e le creature viventi.
Dunque, presso questi antichi popoli scomparsi, il sole, con vari nomi, ma con attributi simili, appare come forza primigenia all'origine di tutto.
Presso i Babilonesi, il sole rappresentava la vittoria sulla morte, oltre che essere annunciatore del diritto divino. Hammurabi avrebbe ricevuto dal dio del sole Shamash le leggi alla base del suo Codice (circa 1950 a.C.). I re di Assiria e Babilonia erano collegati ai leoni per la loro forza.
Presso i Sumeri, Ningirsu, ( Regno di Gudea, 2144-2124), dio della pioggia e fertilità, splendente come il sole, era rappresentato come un'aquila con testa di leone, e si diceva avesse vinto il leone dalle sette teste. Presso questo popolo, il leone rappresentava la forza ostile alla vita, il demone.
Nella ricchissima ed articolata religione egizia, come già abbiamo ricordato, il sole venne associato, o si sovrappose, al leone, che era quindi considerato come un altro simbolo del sole stesso, accanto a quelli più noti dell'asino e del toro. Vediamone alcuni esempi.
Nel 1800 a.C., fioriva il culto del dio sole Ra. ( verso il 1350 a.C. diverrà culto monoteista). Ra era il padre di tutti gli dei, dio di Tebe e poi dell'Egitto, Dio del sole, in seguito associato ad Amun ( il dio "inconoscibile", in quanto supremo), Atum ( o Aten, il cui nome evoca la totalità, creatore dell'universo, colui che è tutto) e Horus ( i cui due occhi erano rispettivamente il sole e la luna), era creatore dell'Universo e protettore dello stato e della giustizia. Il Sole era la barca, con cui ogni giorno attraversava il cielo. Spesso veniva rappresentato come un leone, come la figlia Sekhmet, spietata distruttrice dei suoi nemici.
Amenemhet IV costruì ad Abido un tempio ad Osiride.
Nell'antico Egitto, esisteva una raffigurazione del disco solare alato, Behdeti-Horus (Horus del Delta occidentale), condottiero dell'esercito di Ra, tale forse per l'analogia aerea tra l'uccello e l'astro; da notare che il leone veniva considerato forma fenomenica del dio Sole.
Il Sole, tramanda il greco Esiodo ( IX o VII secolo a.C.), era figlio di Teia ( figlia di Gea ed Urano, appartenente alla stirpe dei Titani) e di Iperione: "Teia il Sole grande...generò, giacendo con Iperione in amore" (Esiodo, Teogonia, vv 371-374).
I Greci chiamavano Helios il dio del sole, che ogni giorno percorreva il cielo sul suo carro d'oro.
Nel Prologo delle Fabulae, Igino ( probabilmente da identificarsi col bibliotecario dell'imperatore Augusto, I sec.a.C/I sec.d.C), dice che il sole è figlio di Iperione ed Etra (figlia di Pitteo, re di Trezene).
Helios "l'infaticabile "era fratello di Eos e Selene, la dea Luna, e figlio di un fratello di Crono, Iperione, quindi un Titanide. Per quanto onniveggente e onnisciente, tuttavia non usò mai completamente il suo enorme potere per vantaggio personale, ma rimase al di sopra delle parti. Fu in Grecia il primo degli dei, come ricorda Sofocle, che lo chiama genitore e padre di tutti gli dei. L'origine del culto è certamente orientale. A lui apparteneva l'isola di Rodi .
Varie fonti, coeve e posteriori, tramandano notizie di una delle sette meraviglie del mondo: il Colosso di Rodi , opera dello scultore Cares posta all'imboccatura del porto dell'isoletta ( 290 a.C., distrutto nel 225 presumibilmente da un terremoto ). Secondo la tradizione immagine del dio Helios, il Colosso potrebbe aver avuto le fattezze di Alessandro Magno, l'uomo nuovo della nuova era, paragonato a un eroe, se non a un dio.
Infatti, "quell'unificazione religiosa dei popoli che Amenophis IV (Akhnaton) in Egitto, che Elagabalo ed Aureliano in Roma, che gli Incas nel Perù tentarono nel nome del Sole... Alessandro pensò di attuarla mercè la religione del sovrano, ch'è religione dell'uomo." (Pettazzoni, 1954, p 268).
Sulle monete dell'epoca, Alessandro fu sovente ritratto rivestito della pelle di un leone, il capo coperto dalla testa del felino, come il mitico Eracle.
Anche Helios, sulle monete, ha sulla testa la superba criniera di un leone. Omero nell'Iliade, e le decorazioni figurative delle ceramiche nere e rosse greche, ci mostrano gli elmi degli eroi, a cominciare da quello di Ettore, che proprio per questa caratteristica atterrisce il piccolo Astianatte, come cantato nello struggente addio dell'eroe destinato alla morte, cimieri arricchiti da superbe criniere, tese ad incutere terrore nel nemico, emblema della folta criniera del leone.
Ecco dunque intrecciati, in epoca ellenistica, il culto del sole e il simbolo del leone.
Una traccia interessante ci viene dallo studio dei Misteri, culti iniziatici di vecchissima tradizione, cessati solo con l'avvento del Cristianesimo, significativamente simili presso culture diverse e lontane. Da notare che i titolari di questi misteri erano dei che apparivano e scomparivano, come appunto il sole, l'alternarsi di giorno e notte e delle stagioni.
Le principali Scuole di Misteri egizie erano incentrate su Thot, aspetto notturno di Ra, il Sole.
Helios fu associato a Mithra (v. i rilievi del Mithreo di S.Prisco a Roma), nel cui culto misterico è presente pure la figura del leone.
Presso i popoli iranici, verso il 150 a.C., nella città di Khurba-Tila, fioriva il culto di una divinità del sole, Nhakhkhunte.
Seguirono altri dei del ciclo solare, Apollo, Elah-Gabal, nelle città ellenistiche e poi a Roma, fino a Cristo, la cui figura ha rivestito ora gli aspetti del sole, ora quelli del leone.
Cristo, "leone della tribù di Giuda", lucente come il sole nella potenza del suo fulgore, dalle vesti "candide come la luce" (Matteo, 17,2), è " un sole che sorge dall'alto" (Luca, 1,78), per rischiarare quanti stanno nelle tenebre e vincere la morte: seguendolo, anche i giusti " splenderanno come il sole" (Matteo, 13,43), e anche la Madonna apparirà come " vestita di sole" (Apocalisse, 12,1). Alla morte di Cristo, il sole si oscuràò. Ma proprio come il sole che risorge dal tramonto, così Cristo è risorto dalla morte: il sole è quindi simbolo di resurrezione. Perciàò, i primi cristiani pregavano rivolti al sole , ed è per questo che le chiese venivano edificate rivolte ad Est.
è interessante rilevare che il giorno stesso della nascita di Cristo, convenzionalmente ma simbolicamente, è stato fissato al 25 dicembre, giorno del solstizio d'inverno: ciàò, secondo alcuni, sarebbe avvenuto per sovrapporsi alla festività pagana del Sol invictus.
In ambito biblico, il sole compare come simbolo della divinità, dell'amore divino, e della sua ira , della sua giustizia ("Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia" Malachia, , 3,20), inoltre simboleggia il Logos , in quanto i suoi raggi sono sempre pronti a rifulgere.
Il sole come metafora dello splendore divino appare in Isaia (60,20):" Il tuo sole non tramonterà più...perchè il Signore sarà per te luce eterna".
Il leone invece, è posto anche come simbolo del diavolo : egli va in giro minaccioso come il leone; degli inferi, che nella morte inghiottono, come il leone con le fauci spalancate ("Salvami dalla bocca del leone", Salmi, 22,22, in quanto, essere gettato in pasto ai leoni, dopo il supplizio di Daniele nella fossa dei leoni, assume il significato di trovarsi al cospetto della morte) .
Tuttavia il leone simboleggia anche Dio e la sua potente giustizia , le dodici tribù ebraiche ( i dodici leoni a guardia dei sei gradini del trono di re Salomone, Re, 10, 18-21) [ questo richiama l'uso apotropaico dei leoni a guardia delle porte delle città dei templi e dei troni dei re], e i re di Assiria e Babilonia, che danno la caccia al popolo di Israele come i leoni cacciano la pecora smarrita ( Geremia, 50,17 ), nonchè la Resurrezione (cfr.Lurker, 1990)
Macrobio nei Saturnalia pone accanto al sole una figura con tre teste, avvolta da un serpente; una di esse, quella di mezzo, è un leone, simboleggia il presente, che ha più forza, rispetto a passato. L'iconografia ricorda il dio Aion -Kronos , esposto nella Crypta Balbi di Roma.
Anche il Cavaliere tracio, spesso raffigurato con più teste, rappresentando l'onniveggenza, è sicuramente rappresentazione del Sole.
Molte le testimonianze di miti solari della tarda latinità.
Il filologo latino Servio (380-410 d.C.), attingendo dal libro del poeta Optaziano Porfirio, Sole, (305-327 d.C.) sottolinea che Apollo ha gli strali, i possenti raggi del sole, che penetrano la terra fin nella sua oscura profondità, ed evocano veementi e purificatori ardori .
Macrobio afferma che in Assiria il sole e Giove erano la stessa cosa; inoltre, descrive un simulacro assiro di Apollo ( Macrobio, Saturnalia, 1, 18), che nei suoi molti dettagli (armatura, cesta sul capo, corazza, barba , asta, fiore) allude alle proprietà del sole, "cuore del cielo e intelligenza del mondo".
Come si evidenzia da studi etnografici comparativi, il mito del sole è presente presso molte culture attuali sparse nei vari continenti .
In tali miti persiste la simbologia del sole associata all'origine e alla fine di tutte le cose, quindi personificazione dell'Essere Supremo.
Tra le personificazioni mitologiche dei primitivi attuali, esaurientemente segnalate dal Pettazzoni (1922), voglio qui ricordarne alcune.
In Australia, presso le tribù della costa attorno ad Adelaide, vi è la credenza in un essere, Monaincherloo, chiamato pure Teendo yerle, cioè "sole-padre", personificazione del sole, ma concepito come donna (tipico delle mitologie australiane), che però esercita influenza maligna, sicché appare improbabile che rispecchi la natura di Monaincherloo come essere supremo celeste.
In Australia, si crede che l'essere supremo dimori nel cielo, ed abbia come modalità di estrinsecazione tutti i fenomeni del cielo e del tempo, tra cui il sorgere e il tramontare del sole (Nurelle).
In India l'essere supremo ha molte caratteristiche solari. Sing-Bonga è il sole nella parte centrale del paese: è una divinità che, pur essendo benefica, si occupa poco delle cose umane. Altra personificazione del sole è Thakur, che però. essendo troppo buono per ingerirsi nelle cose umane, si mantiene neutrale.
Dall'arcipelago delle isole isole Tonga , nel Pacifico, Polinesia, W.W.Gill (1876) tramanda il mito di Vatea e Tongaiti, ambedue supposti padri del primogenito della rupe Papa, che risolsero il dilemma salomonicamente, dividendo il fanciullo in due: Vatea ebbe la parte superiore , il sole; l'altra venne a costituire la luna.
In Africa sono frequenti le divinità solari. In vari idiomi bantu dell'Uganda, il termine usato per indicare Dio significa sole: questo dio solare è sovente apatico, comunque non sempre benevolo, spesso è malevolo.
Anche altri popoli bantu dell'Africa orientale presentano elementi solari nei loro esseri supremi: presso i Gagga del Kilimangiaro, l'essere supremo si chiama Ruwa, che significa in bantu sole.
Nell'America settentrionale, i Tlingit hanno come figura principale della loro mitologia il Corvo, Yehl, eroe e demiurgo primordiale, colui che ha plasmato e organizzato gli elementi, tra cui il sole; ma secondo altri miti, sarebbe egli stesso l'essere solare, ma non l'essere celeste ( anche se, secondo il Pettazzoni, una delle prerogative dell' essere celeste è quella di determinarsi in senso solare).
I Bellachula del Nord hanno una divinità-sole, distinta dall'essere celeste, per loro femminile, di nome Sench, signore del cielo inferiore, detto pure "padre nostro", Taata.
I Salish ( Sioux) hanno il dio Aielen, il sole. Presso i Sioux il sole è il primo dei Wakan, cioè ha una energia potente e latente.
Presso i Natchez la divinità più adorata era il cielo-sole.
Presso i Tunica, divinità celeste e solare erano tutt'uno.
Gli Algonkini credono in uno spirito celeste localizzato nel sole.
Presso i Pueblos del Nuovo Messico e dell'Arizona, il sole è il più venerato degli esseri divini.
Presso gli Hopi c'è Cotokinunwu, "cuore del cielo", dio del sole, che dà la luce; ma un'altra tradizione pone Tawa come dio del sole, sposo della Terra, oppure fonde le due divinità, cui la Terra è sposa.
Presso gli Zuni, caratteristiche del padre-sole, grande e sapiente, sono talora rivestite dall'essere celeste Awonawilona. Creatore e il custode dell'Universo, all'inizio "si fece persona e assunse le sembianze del Sole, che noi consideriamo nostro padre; in questo modo egli comparve e cominciò a esistere" (Fiabe e leggende di tutto il mondo, p 9).
Presso i Lenape ("il Popolo", Delaware, tribù indiana dell'America del Nord del gruppo linguistico degli Algonquian, parte della nazione dei Cherokee ), la "Casa Grande", metafora della concezione dell'Universo, ha le due porte, orientate ad est ed ovest, che alludono all'inizio e alla fine di tutte le cose, col sorgere e il tramontare del sole.
Nell'America meridionale, presso i Bakairi dei Caraibi, Kame è il dio sole.
Su tutti questi dei , le varie culture hanno costruito i loro miti.
Presso alcuni popoli del Messico, Tarascos, Tarahumara, Tepehuana, Huicol, Cora, l'essere supremo è incarnato dal sole.
Il leone nella favola e nell'iconologia
Quando scompare l'ordinamento socio-culturale che gli ha dato vita, il mito comincia a dissolversi, si stacca dai rituali, perde il suo carattere segreto e magico ed entra a far parte della favola, patrimonio comune e pubblico dei popoli.
Conserva tuttavia ancora tracce dell'antica sacralità, per la sua funzione educativa delle più giovani generazioni, potentissimo veicolo di trasmissione di cultura e di appartenenza , valendosi di immagini derivate direttamente dall'inconscio.
Bettelheim, che ha studiato le fiabe dal punto di vista psicoanalitico, ricorda che "la maggior parte delle fiabe nacquero in periodi in cui la religione era una componente importantissima della vita, e quindi trattano, direttamente o deduttivamente, di temi religiosi"" (Bettelheim, p 19).
Dal mito alla favola, è presente la figura del leone, specie in periodo classico.
La graduale scomparsa del felino dalle favole potrebbe essere dovuta alla sua progressiva rarefazione fisica nelle aree mediterranee, in cui, in epoca classica, viveva fino alla Mesopotamia.
Vediamo qualche esempio.
Nella favola di Esopo, Il regno del leone, si individua concisamente un ruolo positivo della forza regale. Viene narrato infatti di un leone eletto re: nè collerico, nè violento, nè crudele, ma mite e giusto "come un uomo". Convocata l'assemblea, il timido leprotto disse: "Quanto ho sospirato di vederlo spuntare questo giorno, in cui i deboli avrebbero fatto paura ai forti!". La morale di Esopo recita: "Quando in uno stato regna la giustizia, e i giudici la rispettano, anche i deboli possono vivere tranquilli".
Ne I tre buoi e il leone, viene sottolineata la feroce scaltrezza del leone: infatti si parla di tre buoi che un leone non riusciva a divorare per la loro concordia, dato che pascolavano sempre assieme. Allora egli li separò. inimicandoli tra loro con scaltre dicerie, e così li poté divorare uno ad uno.
In Il leone infuriato e il cervo, un cervo, vedendo il leone infuriato, si chiede cosa avverrà, ora che è infuriato, dato che è così terribile quando non lo è. Commenta Esopo: "Teniamoci tutti lontani dagli uomini violenti e usi al male, quando essi si impadroniscono del potere e signoreggiano sugli altri".
Esopo, nelle sue Favole ( in greco anche dette mito), che sono descrizioni di ruoli, privi di emotività, ma volte ad insegnare virtù utili al vivere di ogni giorno, asserisce che la forza del leone sta nel cuore ( Il cervo alla fonte e il leone), ma ne mostra anche la scaltrezza ( I tre buoi e il leone), la mitezza e la giustizia (Il regno del leone), la forza e l'astuzia ( Il leone invecchiato e la volpe).
Ma il leone è anche malvagio ( La parte del leone), insegna Esopo, ma anche memore dei benefici ricevuti (Il leone che ricorda), conscio di non dover fingere di essere quello che non è (Lo stile del leone).
Una favola degli Huave, Messico, spiega come un giovane cacciatore di bestie feroci riuscisse a catturare un feroce giaguaro, dopo essersi identificato con lo scaltro e abile gatto. Nella narrazione Il cacciatore che conosce la preghiera del gatto si narra: "Aveva molta paura e per questo imparò la preghiera del gatto. L'uomo, a recitare la preghiera del gatto, ottenne il potere e l'abilità del gatto. Forte di ciò, andò nella boscaglia senza avere più paura" (Bamonte, p 167). Adottando la tattica del gatto, che è considerato avere molto potere, egli riuscì ad uccidere il feroce giaguaro
Dal punto di vista della psicologia dinamica, siamo in presenza di una forma di interiorizzazione, in quanto, a livello intrapsichico, è avvenuta una incorporazione, con introiezione e identificazione dell'oggetto esterno.
È quindi evidente che, come i miti, così pure le favole sono un enorme serbatoio dei contenuti dell'inconscio.
Italo Calvino, nell'introduzione alla sua raccolta delle Fiabe italiane, osserva che le favole sono "...una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata...fino a noi...la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l'infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste" ( Calvino, p XV).
Dobbiamo a Propp l'osservazione che, nelle favole, l'animale personifica le qualità dell'uomo, tanto che, nella foresta, egli può trasformarsi nell'animale, filiazione probabilmente di un ben più antico eroe-animale.
Questo coacervo di qualità associate alla figura del leone si è tramandata attraverso i tempi, e ne permangono tracce nell'iconologia, quale era attivamente praticata ancora nel XVI secolo dagli artisti, per creare figurazioni allegoriche.
La Memoria grata dei benefici ricevuti è rappresentata come una fanciulla tra leone ed aquila , in quanto tali animali, per quanto privi di ragione, sono però memori dei benefici ricevuti , come ad esempio testimoniato appunto dalla favola di Fedro, Il leone che ricorda, in cui si narra di un leone che venne liberato di una spina che gli si era conficcata in una zampa, camminando; ad un contadino, da cui si era recato, pregandolo di aiutarlo: " sollevata la zampa, gliela pose in grembo. Il pastore gli cavò la spina dalla zampa e il leone tornò alla foresta". In seguito l'uomo, condannato ingiustamente a essere sbranato dalle belve durante uno spettacolo, fu riconosciuto da quel leone, che "di nuovo sollevò la zampa e gliela pose in grembo", e così il re, saputa la cosa, lo graziò. "perchè i potenti si ricordino delle buone azioni del passato".
Così, la Ragione è una giovane armata che tiene per una sorta di morso un leone, a significare la ferocia indomita soggiogata..similmente, la donna armata di corazza che rappresenta la ragion di stato, tiene una mano sulla testa del leone, a mostrare che, per conservare uno stato, occorre vigilante custodia, anche se si è superiori agli altri.
Lo Spavento veniva effigiato come un uomo di bruttissimo aspetto, affiancato da un leone con la bocca spalancata e gli artigli sguainati, proprio come gli Egizi, per rappresentare un uomo spaventevole, tanto da far tremare gli altri con uno sguardo, lo rappresentavano appunto col leone.
La bellissima Generosità posa la sinistra sulla testa del leone, in quanto simbolo di grandezza e generosità d'animo.
Il mito di Eracle e il leone Nemeo
Nella mitologia greca, Tifeo ed Echidna sono mostruosi esseri primordiali, con commiste fattezze umane e di animali. I loro figli rappresentano forze degli inferi e delle tempeste, che si oppongono al bene e al bello . Uno di loro è il ferocissimo e fortissimo Leone Nemeo.
Esistono varie tradizioni mitiche riguardanti il leone Nemeo.
Il romano Claudio Eliano di Preneste (il Sofista), scrittore di lingua greca vissuto tra il I e il II secolo dopo Cristo, riporta in Variae Historiae libri XIII alcuni versi del poeta Epimenide di Cnosso, riguardanti il feroce leone: " E infatti io sono stirpe di Selene chiomata, la quale si scrollò di dosso il leone selvaggio di Nemea fremendo orribilmente e lo portò via per volere di Era eccelsa".
Nelle Vite parallele, Plutarco (Teseo 26-27 ) descrive il leone di Nemea come caduto nel Peloponneso dalla luna.
Esiodo (Teogonia, 327-332) lo chiama "castigo per gli uomini", e ricorda che "lo abbattè il vigore di Eracle".
Dell'invulnerabilità del leone di Nemea parla Igino nelle sue Fabulae (fabula 30)
Pindaro, a sua volta, lo ricorda in un Inno (VI, 47).
Ne parla pure Diodoro Siculo di Agira (Biblioteca Storica, IV, 16, 4):
Questi episodi sono ben noti alla mitologia greca e romana e sono alla base dell'ispirazione di molteplici fonti letterarie.
Ricordiamo gli scritti di Omero (Iliade, VIII), Esiodo (Scudo di Eracle), Pisandro di Rodi (Eracleia), Pindaro (Prima Nemea), Apollodoro (Prima biblioteca), Bacchilide e Stesicoro (Odi e racconti di gesta), Paniasi di Alicarnasso (Eracleia), Sofocle (Le Trachinie), Euripide (Eracle), Prodigo (Ercole al bivio), Teocrito (Idilli: Ercole fanciullo), Plauto (Anfitrione), Ovidio (Metamorfosi, IX), Orazio (0di, III/III, Epodi, II/I), Seneca (Ercole furente), Virgilio (Eneide, VI), Stazio (Tebaide, V, VIII, XI), Apuleio (Metamorfosi, III).
Il mito di Eracle costituisce anche una prova del legame tra il mito solare e quello del leone: infatti il semidio, rappresentazione eroica della divinità solare, drammatizza la lotta tra il lato positivo solare e quello delle forze oscure. In questo senso si puàò pensare al mito del sole-leone come ad un originario mito iniziatico.
Eracle, immagine del sole-leone, nella mitologia greca, come è noto, è artefice delle dodici fatiche, di cui una riguarda appunto l'uccisione dell'invincibile Leone di Nemea; l'eroe, dopo averlo ucciso e poi scuoiato, con i possenti artigli del leone stesso, ne riveste la pelle, col capo sul suo capo, avendo attuato la vittoria sulla cieca violenza , e simbolicamente rivestendosi egli stesso di questa duplicità.
Infatti Eracle puàò essere considerato in un certo senso bifronte ( come il sole stesso, con la sua duplice simbologia di nascita e di tramonto), pieno di virtù ma anche capace di malvagia impulsività.
Nell'immagine del leone, e nei miti che lo riguardano, viene quindi, a mia opinione, espressa una fortissima emozionalità, che ha a che fare col dominio delle pulsioni e con la possibilità di una loro libera espressione sotto l'egida di una sfera dell' Io libera da conflitti.
Eracle, attraverso le dodici fatiche, percorre questa lunga strada, che lo vedrà alla fine libero dalla schiavitù delle passioni, e capace di esprimerle liberamente in maniera non coatta, ma costruttiva per sè e per gli altri.
L'emozionalità e l'uomo del Paleolitico
Ritengo che la scultura su pietra dell'uomo del Paleolitico sia la via regia che ci aiuta a scoprire la sua emozionalità.
Le raffigurazioni antropo/zoomorfe paleolitiche in scultura giunte fino a noi, infatti, testimoniano, ritengo, una presa di coscienza da parte dell'uomo del potenziale della natura, intesa come esterno da sé, ma anche come interno altrettanto ricco e con possente spinta ad esprimersi.
Esse portano fino a noi questo mondo ribollente di forze attraverso l'unica testimonianza rimastaci, che era pure il primo linguaggio espressivo.
Sappiamo che, dietro le intuizioni, ci sono le emozioni.
Qualche studioso ha parlato di un timore reverenziale relativo ai morti ed alla prosecuzione della vita e all'anima posseduta da tutte le cose, connotandolo come "emozione nettamente religiosa" (Murphy, p 85), e sostenendo che " è stato lo sviluppo della capacità immaginativa che ha reso possibile quest'arte tanto notevole"(ibidem).
D'altronde, già Vico riteneva che l'animo umano fosse ai suoi inizi profondamente sensitivo. e che in esso operasse una "logica poetica" ispiratrice di favole divine.
A tale opinione attualmente è contrario lo studioso del sacro Blanc ( che pure ammette che la psiche umana sia stata complessa fin dalle origini), che lo ritiene poco verosimile, dato che, seguendo una opinione diffusa, per milioni di anni l'uomo ha fabbricato utensili sempre eguali, dimostrando quindi di possedere ben poca fantasia.
Personalmente dissento da questa opinione, ritenendo invece possibile, proprio in base alla tecnica e concettualizzazione delle opere artistiche, ipotizzare che, già ai suoi inizi, l'uomo disponesse di un valido apparato per pensare i pensieri.
Tale apparato certamente si è strutturato per fronteggiare le tensioni istintuali, in gran parte impossibilitate ad una scarica immediata
È tuttavia probabile che agli inizi l'uomo si trovasse in una condizione psichica di confusione, scoprendosi come unica specie differenziatasi ( per varianza o mutazione, come sostiene Broglio ) dalla parte mentalmente meno evoluta degli altri rami animali, priva di esperienza e con una quantità di problemi da affrontare e risolvere per la prima volta.
Possiamo cercare di immaginare come potesse essere questa situazione interna, riferendoci al modello della Mahler della fase di separazione-individuazione del bambino, o fantasticando con Hermann sulla catastrofica frustrazione dell'istinto di aggrappamento.
Possiamo pensare che questo trauma profondissimo possa aver condizionato per lungo periodo il funzionamento della mente umana.
A rendere ancora più complessa la sua situazione intrapsichica (cfr. il concetto di Homo Schizo di Alfred de Grazia e quello di splitting primitivo (cfr.Filingeri, 1984, Psychodynamic considerations at margin of Presculpture and Prehistorical sculpture interpretation ), vanno considerate altre circostanze traumatizzanti , quali lo stress della evoluzione delle forme di vita associative, dall'acquisizione del linguaggio alla vita in gruppo e alla sua organizzazione, cioè i problemi relativi alla socializzazione ed alla sua regolamentazione, e, non ultimo, il nuovo rapporto con il " fratello animale", attivamente cacciato
Una fase paranoide potrebbe essere presa in considerazione in base allo stato continuo di grande angoscia nella prima organizzazione della vita nelle savane, senza ripari arboricoli, in una situazione affatto nuova, angosciante tanto quanto lo sarebbe per un neonato, ancora non autosufficiente, il trovarsi improvvisamente a dover affrontare il mondo senza la possibilità di aggrapparsi anche fisicamente alla madre , e dovendo risolvere una quantità di problemi e situazioni assolutamente nuove, privo di qualsiasi esperienza precedente.
Questa protratta e articolata sommatoria di traumi, secondo me, ha fatto sì che inizialmente la possibilità di espressione dell'emozionalità fosse irrigidita e bloccata attraverso un'unica via di espressione .
La circostanza potrebbe rendere ragione delle minime variazioni nella lavorazione di strumenti e sculture (sempre che si accetti un computo cronologico così protratto, come attualmente, coi mezzi di datazione a nostra disposizione, viene fatto da quasi tutti gli studiosi, ad eccezione dei teorici della Quantavolution, tra cui A. de Grazia) .
A un certo punto, un quid ( condizioni di vita più favorevoli, per accrescimento e perfezionamento della vita associativa, maggior disponibilità e perfezionamento dello strumento extracorporeo, implementazione della capacità di comunicazione?) deve aver potenziato o creato una energia neutralizzante e introdotto un criterio di realtà nuovo, sbloccando una situazione dinamica interna irrigidita e permettendo un più libero e quindi sfaccettato fluire dell'emotività .
Propendo a vedere, quale espressione di una prima situazione interna di disagio, l'emergere del rito/rappresentazione della sola testa (cfr. Filingeri,(1984), Psychodynamic aspects in the evolution of the sculpted figure in the Lower Paleolithic compared to funerary practices ), di cui troviamo tracce nelle presculture e sculture in pietra, nelle incisioni su osso
(v. pendaglio di osso della grotta Raymonden a Chancelade, Dordogna, Francia, con scene di sacrificio e una testa di bisonte), nel culto e conservazione dei crani, umani e animali (particolarmente, come si è visto, l'orso).
Il leone dell'Arma delle Manie
La scultura zoomorfa pensile dell'Arma delle Manie (Finale Ligure, Liguria, Italia), proviene da una grotta ("arma") a 250 m sul livello del mare
L'Arma delle Manie, su cui la Sopraintendenza alle antichità della Liguria sta lavorando dal 1964, e i cui materiali sono esposti nel Museo del Finale, Finalborgo (Liguria, Italy), sta rendendo nel tempo una gran quantità di industria litica Musteriana.
La grotta si trova non lontana dalla Caverna delle Fate, nota per la scoperta di resti umani neandertaliani.
All'epoca in cui fu scolpita la grande testa pensile di leone dell'Arma delle Manie, il clima era molto più caldo, la vegetazione più lussureggiante e vi vivevano animali quali il leone, Panthera leo spelaea, il leopardo, la iena, l 'elephas antiquus, l'ippopotamo e il rinoceronte , oggi totalmente scomparsi dall'Italia da almeno 30.000 anni.
La scultura litica delle Manie è in travertino rosso , alta 30 cm, lunga 37 cm e ha una larghezza da orecchio a orecchio di 30 cm; il muso è profondo da 6 a 12 cm(Fig.9)
Fig.9 Testa di leone
Scultura musteriana pensile
(vista semifrontale)
Proveniente dall'Arma delle Manie (Finale Ligure, Savona, Italia)
Riguardo alle misure, è significativa la concordanza con la lunghezza di un cranio di leone delle caverne trovato sul greto del Po presso Piacenza e risalente all'incirca a 60.000 anni fa ( misura 360 mm di lunghezza)
L'attribuzione culturale data da Gaietto è il Musteriano.
è stata interpretata dal suo scopritore come la raffigurazione di un leone ( Gaietto, 1982;
cfr. Primeval Sculpture,1984, I, 1).(Fig.10 e Fig.11)
Fig.10 Testa di leone
Scultura musteriana pensile
(vista laterale)
Fig.11 Testa di leone
Scultura musteriana pensile
(vista posteriore)
(nella foto, L.Filingeri)
Considerazioni conclusive
La scultura delle Manie è una potente espressione della grande emozione che coglie l'uomo al cospetto del leone.
Essa non è, come d'altronde non lo è tutta la scultura in pietra del Paleolitico, e neppure gran parte della pittura in grotta maddaleniana, un'opera realistica, bensì altamente simbolica, in quanto rende visibile l'invisibile, e con ciàò stesso attesta la capacità di percezione, di riflessione e di astrazione dell'uomo paleolitico.
Quindi non stupisce, anzi ci riempie di ammirazione per l'ideazione e la libertà espressiva dei nostri avi, vedere che l'atto stesso del ruggito viene rappresentato dall'artista paleolitico per così dire in sequenza, come se lo seguissimo visivamente da due diverse angolature.
La scultura dunque evidenzia una elevata capacità di concettualizzazione dell'uomo del Musteriano che la ideàò e la realizzàò.
È innegabile che la mente dell'artista paleolitico, partendo dall'esperienza sensibile, e desumendone i dati, ha saputo operare un'astrazione: "anche l'attività tecnologica rivela nell'uomo una capacità simbolica e non soltanto progettuale" (Facchini, 2000, p 20).
Broglio, evidenziando, durante il Paleolitico inferiore, due importantissime acquisizioni umane relative alla lavorazione della pietra, e cioè l'invenzione del bifacciale e la tecnica di lavorazione levalloisiana, osserva: " L' apprendimento di tali complessi procedimenti, che implicano sempre la predeterminazione della forma dei prodotti, poteva certamente avvenire solo attraverso la trasmissione di nozioni. è lecito supporre che tale attività didattica si sia realizzata mediante la formulazione e la trasmissione di concetti astratti" ( Broglio, p 95).
La capacità di astrazione, a mio parere, dimostra una posseduta capacità di strutturare concetti a priori, quelli che Jung individuerà come archetipi.
Come ci ha insegnato Aristotele, è nella fase logico-metafisica che si rilevano i caratteri o le qualità essenziali di una cosa, al di là di quelle accidentali, e la si considera per se stessa .
A me sembra che ciàò si possa applicare già all'idea di utensile, e poi di scultura, separata dalla pietra stessa, cioè forma separata dalla materia:
Riflettendo ancora sulla scultura delle Manie, ritengo che la si possa considerare testimonianza di un importantissimo passaggio da un concetto ("la classe dei leoni") a quello più generale ("la leoninità"), con generalizzazione. Infatti, vi è trasferimento di una qualità preponderante ( "la leoninita") a una classe più vasta di oggetti ("la scultura e l'uomo che la fa, la venera e usa nei riti di propiziazione"), prescindendo dagli "accidenti" sensibili.
L'uomo che ha scolpito il leone, sicuramente possedeva la capacità di simbolizzazione, pianificazione e previsione dell'azione, implicita già nell'atto di scheggiare la pietra avendo in mente il " progetto-utensile": quindi una chiara, progettuale ed intenzionale finalizzazione dell'atto.
Da ciàò consegue pure la nozione di causalità ("faccio questo e ne consegue quest'altro"), con coscienza della capacità di padroneggiare le forze della natura, quindi coscienza di sè come agente e influente .
Seguendo la teoria di Piaget, possiamo dedurre inoltre che, in quanto fabbricatore di utensili, Homo Habilis era in possesso della rappresentazione preoperatoria. Era cioè capace di attività altra rispetto alla semplice azione fisica sugli oggetti . Mediante immagini mentali, poteva prescindere dalla contingenza, pensando e progettando con una certa simultaneità, quindi usando la funzione simbolica dell'immaginazione per anticipare nel pensiero azioni non in quel momento in atto.
E poichè è indubbio che tutto questo avveniva in una condizione di vita non isolata, ma di gruppo, ne consegue che anche il linguaggio doveva virare da una fase "egocentrica" ad un'altra più complessa, socializzata, tale cioè da essere compresa da tutti, e favorire comunicazione, scambio sociale e spiegazione.
Attualmente, da parte dell'archeologo Sileshi Semaw (Journal of Archaeological Science), la capacità di concettualizzare è stata spostata nel tempo a circa 2.600.000 anni or sono, seguendo i recenti ritrovamenti di utensili in trachyte in Etiopia, Gona. Gli utensili, afferma l'archeologo, servivano per tagliare carcasse di animali per la nutrizione carnea: l'accresciuto apporto di proteine animali avrebbe a sua volta accelerato l' ominizzazione.
Al recente Human Genome Meeting in Edinburgh, Scotland, ( aprile 2001), si è ribadito che la differenza tra lo scimpanzé e l'uomo sta tutta nella mente, nella differenza dell'attività del gene nel nostro cervello.
Questa capacità di concettualizzazione, a mio parere, fa presupporre, come già accennato, anche l'esistenza di un linguaggio (che dell'astrazione fa uso, come ha mostrato Piaget). Infatti, c'è una rappresentazione, in quanto l'immagine non è realtà, bensì un segno della realtà, reale, per così dire, o immaginaria.
Essa, nella scelta operata dall'artista, previlegia alcuni aspetti funzionali al messaggio e alla rappresentazione, che, nel caso dell'opera d'arte, è anche finzione, creazione di una realtà altra dal reale stesso.
Su un piano più metafisico, poi, bisogna valutare che, nella rappresentazione, l'artista esprime il suo rapporto con il mondo, quindi le sue concettualizzazioni ma soprattutto, come già si è detto, la sua emozionalità.
Nel caso specifico, viene espresso anche il rapporto col sacro, in quanto è assai probabile l'uso cultuale di tale scultura (come quello della testa di El Juyo), attestato, come si è visto, da altre rappresentazioni di tipo cultuale del leone, fin dall'epoca preistorica .
I riti, considerate le qualità da sempre attribuite simbolicamente al leone, presso tutti i popoli e in tutti i tempi, e cioè forza, coraggio, potenza, regalità, ma anche astuzia malvagia, ferocia, pura pulsionalità, potrebbero verosimilmente essere collegati elettivamente alla caccia, e quindi alla sopravvivenza, sia come ricerca di cibo che come vittoria su nemici che minacciano l'esistenza stessa.
Come tali, sarebbero indirizzati soprattutto alle giovani generazioni, appunto sotto forma di riti di iniziazione, inscrivendosi nel gruppo dei sempiterni riti di passaggio, propri dell'età puberale.
Il leone puàò essere stato venerato come essere sacro, da propiziarsi prima della caccia o di qualsiasi impresa bellicosa, ma anche col quale identificarsi, interiorizzandone l'immagine, per appropriarsi delle sue qualità.
Con riferimento al senso del sacro, mi pare interessante in chiusura citare un’ osservazione di Facchini, secondo cui "l'assenza di comportamenti attestanti direttamente una dimensione religiosa non rappresenta un argomento per contestare la possibilità del senso religioso nelle forme umane più antiche" (Facchini F., (2000), "Alle origini del simbolo e del sacro", p 22, in Miti e Riti, cit. ).
Facchini sostiene che, già alla origini dell'umanità, i primi cacciatori possedevano un senso religioso, espresso a volte come religiosità cosmica :"Là dove emerge coscienza di sè, c'è già un'attitudine al trascendente, a porsi domande sul proprio essere e sulla realtà che lo circonda" ( Facchini , "La capacità simbolica", in Miti e Riti, pp. 313-314).
E poichè la nozione del sacro presuppone la presa di coscienza, personalmente ritengo esistano buone evidenze che l'uomo possedesse fin dai primordi una nozione del sacro.
Così, da lontananze temporali immense, giunge fino a noi la presenza di un uomo in tutto e per tutto simile a noi.
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